R. Leggero: Domatori di principi e altre note di storia svizzera (secoli XII-XVI)

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Titel
Domatori di principi e altre note di storia svizzera (secoli XII-XVI).


Herausgeber
Leggero, Roberto
Erschienen
Udine 2018: Forum Universitaria Udinese
Anzahl Seiten
271 S.
von
Luca Fois

Il volume raccoglie, ampliandoli, quattro contributi dall’autore, in parte inediti, nati dalla convergenza tra la specifica curiosità per le ‘terre ticinesi’ («così ricche di temi e problemi storici», p. 9) e il tema dell’identità politica delle comunità rurali sviluppato in più di un ventennio di attività di studio e ricerca. Il titolo, seppur di grande effetto, risulta fuorviante rispetto al reale contenuto del libro nel quale si propone un percorso che, partendo dalla creazione e dalla gestione del patrimonio delle comunità valligiane ticinesi del tardo Medioevo (cap. i e ii), arriva alla definizione attraverso fonti diverse – documentarie e narrative (cap. iii e iv) – di quelle che dovrebbero essere alcune caratteristiche peculiari dell’agire politico-diplomatico dei cantoni nei confronti dei loro vicini della Penisola all’alba dell’Età Moderna. Ad ogni modo l’autore ne giustifica la scelta (pp. 13-15), individuando nel richiamo ad un passato divenuto ormai “mitico” e idealizzato (il “Medioevo svizzero” appunto) le radici di alcune peculiarità politiche e giuridiche della Confederazione.

Nel primo capitolo l’autore analizza un dossier di trenta testamenti inediti dei secoli xiv e xv, provenienti dalla Vallemaggia, rintracciati nei fondi dell’Archivio di Stato del Cantone Ticino, integrati da altri documenti simili relativi alle valli contermini, editi nella collana «Materiali e Documenti Ticinesi ». L’intento è di mostrare come tali testamenti, attraverso l’istituzione di distribuzioni annuali di cibo garantite da proprietà fondiarie, abbiano contribuito alla costituzione del patrimonio collettivo delle comunità e all’ampliarsi dei loro diritti nei confronti dei singoli abitanti, nonché l’eventuale legame di questi elementi con processi più ampi di accrescimento delle autonomie. Si tratta di un tema potenzialmente interessante, che risente tuttavia della debolezza di una base documentaria troppo limitata per costituire un esempio efficace che, sostanzialmente, consente all’autore solo di attestare l’esistenza di questa pratica anche nelle valli ticinesi, non arrivando a fornire prove decisive né della sua presunta specificità, né sull’effettivo contributo alla dotazione di beni delle comunità.

Nel secondo capitolo il discorso viene convenientemente allargato, mediante l’indagine di alcune caratteristiche dei beni collettivi delle comunità valligiane, ossia, secondo le parole dell’autore, la loro complessità, elasticità e rilevanza. Dalla Vallemaggia del primo capitolo il fuoco si sposta alle valli Ambrosiane, soprattutto di Blenio e Leventina, in un periodo compreso tra il xii e il xvi secolo. Con abbondanza di casi tratti dalla documentazione, l’autore inquadra la situazione ticinese medievale in un più ampio discorso di rilettura del tema delle risorse collettive, con contaminazioni provenienti dalla storia economica e dall’antropologia. Il ragionamento risulta però frammentato dai troppi esempi che impediscono di coglierne appieno lo svolgimento. Destano inoltre qualche perplessità sia l’approccio metodologico, sia il mancato aggiornamento della bibliografia su di un tema storiografico che negli ultimi anni è stato molto dibattuto e studiato.

Il terzo capitolo compie un passo ulteriore, cercando di mostrare come nel tardo medioevo la capacità di gestione delle risorse collettive abbia alimentato i processi di costituzione del particolare milieu politico da cui prese origine la Confederazione. Il discorso si snoda attraverso l’analisi dell’impressione suscitata dalle pratiche politicodiplomatiche adottate dalla giovane Confederazione al suo affacciarsi come potenza regionale sul palcoscenico della grande politica europea tra xv e xvi secolo, andando da un lato a identificare quali erano le novità avvertite come tali dagli osservatori stranieri e, dall’altro, esaminando le radici da cui erano sortite tali novità, e individuandole proprio nella capacità di gestione “orizzontale” e fluida delle risorse e dei conflitti, acquisita dai confederati nei primi secoli della loro storia. L’analisi è efficace fino all’introduzione, come esempio tratto dalla documentazione, della situazione delle terre ticinesi le quali, proprio nei secoli del pieno e tardo medioevo erano parte integrante – dal punto di vista politico come da quello culturale – prima dei contadi di Como e Milano e poi della compagine statuale visconteo-sforzesca, risultando pertanto più coerentemente assimilabili ad altre aree di tale dominio piuttosto che ai cantoni. Solo dalla seconda metà del xv e poi nel xvi secolo, la convenienza, oltre che – in parte – la conquista militare, spinsero i “ticinesi” a volgersi verso nord, conservando tuttavia l’organizzazione ereditata dalla distrettuazione imposta dalle città padane. Ad ogni modo, stralciati dal discorso generale del capitolo, i paragrafi 3-4, possono leggersi come un coerente saggio sulla risoluzione dei conflitti nelle terre ticinesi bassomedievali.

Nel quarto capitolo, legandosi (seppur latamente) al discorso fatto nel capitolo precedente, l’autore propone l’edizione della Descrittione de otto cantoni de Svizzeri di Alessandro Giovio, come esempio di testo narrativo destinato alla comprensione del “fenomeno Confederazione” da parte del pubblico italiano. Un’erudita biografia dell’autore, nipote del più famoso Paolo, e una descrizione del milieu culturale della sua famiglia precedono la disamina delle probabili fasi di elaborazione del testo che, attraverso la mediazione della Descriptio Helvetie – scritta molto probabilmente dal padre di Alessandro, Benedetto, nel 1507 –, deriva dalla Superioris Germanie confederationis descriptio di Albrecht von Bonstetten (1479). La discussione della genealogia del testo è diluita da due ampie digressioni sull’evoluzione della descrizione geografica nella prima età moderna e sul genere letterario da essa derivato che, pur consentendo un’appropriata contestualizzazione, non sciolgono alcuni nodi problematici non privi di importanza, come – ad esempio – quello dei motivi che portarono alla composizione dell’opera.

Nonostante alcune debolezze, il volume ha almeno tre meriti. Il primo è quello di addentrarsi in un periodo – xiii e xiv secolo – della storia ticinese che, salvo alcune lodevoli eccezioni, negli ultimi due decenni non ha suscitato particolari interessi o studi da nessuna delle due parti del confine, ma che forse meriterebbe una nuova stagione di studi che ne definisca compiutamente i tratti caratteristici, anche per sgombrare il campo da una storiografia in buona parte evenemenziale o, a tratti, fortemente influenzata da visioni storiografiche (e politiche) ormai superate. Il econdo è l’utilizzo provocatorio (anche se non sempre efficace) di paradigmi di analisi differenti da quelli della storia medievale, potenzialmente in grado di fornire punti di vista nuovi e stimolanti. L’ultimo, ma non meno importante, è l’utilizzo di fonti inedite, rintracciate attraverso il lavoro d’archivio, che consentono di aggiungere nuovi tasselli alla possibilità di comprensione delle vicende del Ticino nel Medioevo.
(Luca Fois)

Zitierweise:
Fois, Luca: Rezension zu: Leggero, Roberto: Domatori di principi e altre note di storia svizzera (secoli XII-XVI), Udine 2018. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 165, pagine 149-151.

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Zuerst veröffentlicht in

Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 165, pagine 149-151.

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